Le Eccellenze

Il Carciofo spinoso d’Albenga: un prodotto unico dalle importanti qualità

Il Carciofo spinoso d’Albenga: un prodotto unico dalle importanti qualità
Il Carciofo spinoso d’Albenga: un prodotto unico dalle importanti qualità

Il carciofo spinoso di Albenga, è caratterizzato da foglie (brattee) interne particolarmente tenere, croccanti e dolci, perfette in cucina, sia per essere gustate crude, abbinate a semplice olio extravergine d’oliva, oppure cotte.
Viene coltivato in terreni freschi, drenati, ben dotati di sostanza organica, ma si adatta anche a terreni di diversa composizione, con pH compreso tra 6,4 e 7,0. Ci son delle variabili non indifferenti legate al tipo di terreno in cui il carciofo viene coltivato: i terreni argillosi ritardano la maturazione dei capolini, mentre quelli sabbiosi e calcarei ne provocano una riduzione delle dimensioni.
Le temperature ideali per questa coltura nel periodo invernale non devono essere eccessivamente basse e non devono verificarsi gelate e precipitazioni nevose. Nel clima mediterraneo, a causa dell’alta temperatura e dell’assenza di pioggia, a maggio-giugno la parte aerea dissecca e le gemme situate sul rizoma vanno in riposo. Il limite biologico di vegetazione si aggira intorno agli 8°C; la pianta resiste bene fino a 0°C, anche se i capolini riportano danni; tra –4 e –8°C anche le foglie vengono danneggiate e oltre –10°C anche le gemme sotterranee possono subire danni. Temperature superiori a 25°C sono dannose a colture precoci in fase riproduttiva, dando origine ad una fisiopatia chiamata “atrofia del capolino”, che provoca una necrosi delle cellule del calice a cui segue la cessazione dell’accrescimento delle foglie interne.
Nell’Albenganese la carciofaia viene rinnovata annualmente nella maggior parte dei casi, ma può anche rimanere in sito, generalmente per non più di 2 anni. Il carciofo è una pianta che non sfrutta eccessivamente il terreno ed anzi lo lascia ben strutturato, in quanto è dotato di un apparato radicale molto sviluppato in lunghezza. Per questo motivo, nell’ambito della rotazione delle colture nell’azienda agricola, è utilizzabile per migliorare terreni troppo compattati o mal strutturati, che possono essersi originati per errori commessi nella gestione agronomica, oppure per contenere infestanti troppo invasive. È assolutamente sconsigliato fare seguire al carciofo specie appartenenti alla stessa famiglia botanica, quali cardo, lattuga e cicoria, mentre può precedere la coltivazione di ortive che sfruttano molto il terreno in quanto produce, nel corso degli anni di impianto, notevoli quantità di residui organici, utilizzabili per il compostaggio direttamente sul terreno e lasciando quindi una notevole fertilità residua. Nel territorio ingauno c’è l’abitudine di lasciare il terreno scoperto tra la fine di un ciclo, in aprile-maggio, e l’inizio del successivo, in luglio, oppure impiantare un ciclo colturale di melanzana, pomodoro o zucchino per sfruttare il terreno nel periodo estivo.
La raccolta del carciofo spinoso d’Albenga viene effettuata a partire dall’inizio di novembre, rigorosamente a mano e di preferenza nelle ore più fresche della giornata, e si protrae in modo scalare fino alla fine di maggio per gli impianti tardivi.
A differenza delle altre zone di produzione del carciofo, dove la raccolta viene quantificata in peso di capolini, nel ponente ligure la produzione del carciofo spinoso d’Albenga è tradizionalmente indicata dal numero di capolini prodotti. La produzione media è di circa 7 capolini per pianta, corrispondenti a 8400-9800 capolini per 1000 m2 a seconda dell’impianto.
Il carciofo spinoso d’Albenga è attualmente commercializzato a livello interno, soprattutto sui mercati di Genova, Milano e Torino. Quantità modeste di prodotto vengono esportate in alcuni Paesi del Nord-Europa, dove è molto apprezzato.

Il Carciofo spinoso d’Albenga: storia de diffusione

La coltura del carciofo è già nota, secondo la testimonianza di più autori, in tempi molto antichi: gli Egizi lo conoscono e ne fanno uso alimentare, gli Arabi coltivano già nel IV secolo a.C. la pianta detta karshuf (altri scrivono kharshaf), dal cui nome deriva l’attuale termine carciofo. Altri autori sono restii a riconoscere per il carciofo un debito della cucina europea verso gli Arabi, ritenendo si tratti di nuove varietà di piante già conosciute.
Della coltura del carciofo in Liguria, nella provincia di Savona e nell’Albenganese, si hanno testimonianze storiche importanti.
Il Prefetto conte Gilbert Chabrol de Volvic, inviato da Napoleone a Savona per organizzare il dipartimento di Montenotte, scrive: “I paesi costieri dei due circondari meridionali, e soprattutto i cantoni di Savona, Varazze, Finale, Pietra, Alassio … hanno una gran quantità di orti … sempre coperti di ortaggi e legumi … Ogni stagione ha i suoi prodotti; per la primavera si piantano varie qualità di insalate, piselli, fave, fagioli, carciofi, asparagi,cavoli cappucci, cipolle, aglio”.
Nell’ultimo quarto del XIX secolo l’inchiesta agraria Jacini, annota: “I carciofi ed i cavoli-fiore primaticci sono oggetto di esportazione, ma in quantità non considerevole. Fra i preferiti sono i carciofi di San Remo, Ripa Ligure, Albenga, Savona, Varazze, Pietra Ligure, del Chiavarese, di Spotorno, Arenzano, Prà, di dove se ne esportano vagoni interi”.
Nella stessa relazione, poche pagine prima, era già stata evidenziata l’importanza economica che localmente rivestiva allora la coltura del carciofo: “Borgio, presso Finale, comune di men che 400 anime, ha fatto a proprie spese la stazione ferroviaria, esclusivamente col prodotto delle pesche e dei carciofi”.
L’inchiesta Jacini cita nuovamente la coltura del carciofo ma analizzandone un aspetto, per così dire, sociologico: “La coltura speciale degli aranceti, agrumeti e delle ortaglie in genere, e soprattutto dei carciofi e dei pomodori non è stata senza alcuna influenza anche morale sulla classe dei coltivatori della terra in questa regione marittima, oltre all’avere contribuito di gran lunga a migliorarne le condizioni economiche. Difatti, il contatto quasi quotidiano con mercanti e speculatori venuti dal di fuori per acquisto dei generi prodotti da siffatte colture, la necessità di un più frequente muoversi ed allontanarsi dal natio paese per andare sui mercati anche vicini, dove pure vedono necessariamente e parlano con più persone
in un giorno, che non a casa loro in un mese; il bisogno, per sostenere la concorrenza,di conoscere ed imparare l’arte; i modi efficaci per ottenere dal terreno il desiderato prodotto, nella quantità e qualità e colla sollecitudine voluta, hanno determinato in queste popolazioni rurali uno sviluppo notevole della loro coltura intellettuale,di tutte le manifestazioni del vivere sociale, anche in quella parte che non sarebbe forse desiderabile, talché sono infinitamente meno rozze e meno ignare delle forme del vivere civile che non in qualche altra parte d’Italia”.
In merito alla diffusione della coltura del carciofo nell’Albenganese notizie interessanti sono dovute al p.a. Carlo Rapa, memoria storica dell’agricoltura Ingauna, che, intervistato nel 1980, disse: “[…] un fenomeno di ridimensionamento colturale e di cambiamento nell’agricoltura di Albenga, si è verificato nel periodo della grande guerra. Fino a quel momento, la piana di Albenga comprendeva colture orticole di alto pregio, che richiedevano una presenza costante e prevalente della manodopera maschile … Con la guerra l’uomo viene a mancare … rimangono le donne, i vecchi ed i bambini e di conseguenza si trasforma abbastanza sensibilmente l’agricoltura. Si sceglie, fra tutte le colture orticole, quella che richiede un minor impiego di manodopera maschile: il carciofo. … In questo periodo il carciofo è arrivato a coprire anche il 50% del terreno di una azienda; …”.
Negli anni ’20, nel solo comune di Albenga, il catasto rileva 54 ettari in coltura integrante e 111,6 in
coltura ripetuta, con una produzione complessiva di 1.325 tonnellate, indicativamente corrispondenti a circa sei milioni di carciofi. Negli anni 1964 - 1965 la coltura del carciofo occupa in provincia di Savona 299 ettari, con una resa media di 12,37 tonnellate per ettaro ed una produzione totale di 3.700 tonnellate. Tra il 1962 ed il 1967 il carciofo occupa in media, in Liguria, una superficie di 814 ettari, concentrati nelle zone tipiche della coltura lungo i centri rivieraschi della province di Savona ed Imperia, con una produzione di 9.090 tonnellate. Negli anni Sessanta la produzione regionale ligure di carciofi decresce costantemente, passando da 10.820 tonnellate nel 1961 a 6.400 tonnellate nel 1971.

Come scegliere il Carciofo spinoso d’Albenga

In base al Reg. CEE 963/98 relativo alle norme di commercializzazione di cavolfiore e carciofo un prodotto di buona qualità deve essere innanzitutto fresco, intero, sano, pulito, privo di odore o sapore estranei.
Sono previste tre categorie di capolini:
categoria Extra: capolini di qualità superiore, con tutte le caratteristiche della varietà e con le brattee centrali ben serrate. Devono essere esenti da ogni difetto, ma sono ammesse lievissime lesioni superficiali dell’epidermide delle brattee. I fasci vascolari della parte inferiore non devono presentare un inizio di lignificazione.
1 categoria: capolini di buona qualità, con tutte le caratteristiche della varietà e con le brattee centrali ben serrate. Sono ammessi leggeri difetti (lieve deformità, lievi alterazioni dovute al gelo, lievissime ammaccature); i fasci vascolari della parte inferiore non devono presentare un inizio di lignificazione.
2 categoria: capolini di qualità mercantile che non possono essere classificati nelle categorie superiori, con brattee un po’ aperte; si ammettono leggeri difetti (deformità, alterazioni dovute al gelo, lievi ammaccature, lievi macchie sulle brattee esterne, inizio di lignificazione dei vasi della parte inferiore).
Il prodotto raccolto deve essere avviato alla commercializzazione tal quale, non appena concluse le operazioni di cernita e di confezionamento. I carciofi spinosi in attesa di lavorazione devono essere bagnati con acqua fredda; non è ammesso l’impiego di sostanze di sintesi per la conservazione del prodotto o altri tipi di trattamento. A causa dell’intensa attività respiratoria è necessario sottoporre i capolini alla refrigerazione subito dopo la raccolta, per poter mantenere un’elevata qualità del prodotto durante la conservazione. La conservazione in cella frigorifera va effettuata a temperature di 2-4 °C ed umidità relativa del 90% per il prodotto appena raccolto in attesa di lavorazione e per il prodotto già lavorato per il tempo necessario alla spedizione. Un prodotto di buona qualità deve essere innanzitutto fresco, senza segni di appassimento; il capolino deve essere intero, diritto, con squame involucrali ben serrate, privo di ammaccature e altre lesioni. Il gambo deve essere turgido ma non lignificato, lungo almeno 20 cm, con un taglio netto alla base, portante una o più foglie non appassite.

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