Albenga e il territorio

Convento di San Bernardino, un pezzo di storia di Albenga

Il fascino e il mistero di un edificio ancora oggi nel cuore della comunità

Convento di San Bernardino, un pezzo di storia di Albenga
Convento di San Bernardino, un pezzo di storia di Albenga

Il convento di S. Bernardino fu uno dei più illustri del monachesimo francescano, sorse a metà del Quattrocento in seguito alla predicazione di S. Bernardino da Siena in Albenga e fu una delle chiese predilette dalle principali famiglie di Albenga Alcune interessanti informazioni si ricavano dai testi antichi, secondo i quali si fa risalire la fondazione del Convento e della Chiesa allo stesso Santo anche se non tutti gli studiosi antichi sono concordi con questo parere, infatti il sito e il denaro per la costruzione fu messo a disposizione dagli Albinganesi, come era attestato anche da una iscrizione visibile sulle pareti del Coro della Chiesa, sotto il Quadro che rappresenta gli Stemmi della Città e dell’Ordine Francescano nei seguenti termini che recitava: Communis impensis, Inclitae Civitatis Albinganae, Anno 1454, Die XIIII. Maj Il Vescovo Pier Francesco Costa consacrò la Chiesa di S. Bernardino il 9 ottobre 1480. Attorno alla fine dell’800 i Minori Osservanti si trasferirono nel Convento di S. Domenico dove rimasero fino alla soppressione del loro Ordine.
Il complesso monumentale di S. Bernardino venne trasformato parte in caserma e parte in carceri alla fine dell’800; questa situazione ha danneggiato non poco la struttura del monastero. Il chiostro risulta essere ancora conservato su due lati: quello verso Alassio e quello che si trova a ridosso della chiesa; sono riemerse, ricoperte da una più recente fasciatura, le originali colonne ottagonali, costruite in mattoni e rivestite da intonaco, con capitelli e basi caratterizzati da angoli smussati: elemento decorativo tipico del Quattrocento. Le celle dei monaci si trovavano a sud e si affacciavano sul terrazzo che sovrastava il chiostro, il cui lato ovest venne demolito in un età non precisabile, probabilmente per allargare il cortile; il pozzo si trovava non al centro del suddetto chiostro ma in un angolo e risultava essere circondato da un portico di forma quadrata con colonne in tutto simili a quelle dei due lati ancora visibili. Il quarto lato del chiostro è completamente scomparso, forse durante i lavori del 1897 quando il monastero venne appunto trasformato in caserma. L’accesso all’antico convento avveniva tramite una scala, riaperta, sul lato a monte.
La chiesa era ad un’unica navata con una copertura in travature, elementi tipici, con la semplicità delle strutture, degli edifici bernardini secondo la tipologia ad aula, caratteristica degli edifici francescani del XIV secolo, ed era anche costituita da un’ampia sacrestia ed un’abside quadrata vastissima.
Di notevole interesse sono anche gli affreschi: si tratta di un “Giudizio Universale” realizzato dai fratelli Tommaso e Matteo Biasacci (o Busacci o Biazaci), originari di Busca, presso Saluzzo; purtroppo è stato possibile solo il recupero di quelli che si trovavano nella zona anteriore del presbiterio, la meno danneggiata dalle deturpazioni subite dal convento una volta abbandonato dai Frati. Esso rappresentava in maniera allegorica la Città Celeste, in alto, con mura merlate e torri, vi erano poi i Cherubini che, con gli Angeli, la Vergine e S. Giovanni attorniavano il Cristo, ai lati del quale si raccoglievano i Beati in triplice fila. Ai piedi di Cristo vi era il Purgatorio e nei riquadri sottostanti l’Inferno, rappresentato secondo la tradizione medievale e dantesca. Le scene erano correlate da scritte che illustravano gli episodi rappresentati. Attorno all’opera di questi due pittori c’è un piccolo mistero ancora irrisolto: grazie ad una iscrizione antica si può datare la realizzazione di quest’opera al 3 giugno 1483; se così fosse gli affreschi di San Bernardino risulterebbero di soli quattro giorni posteriori a quelli realizzati dagli stessi autori presso il Santuario di Montegrazie a Porto Maurizio (Imperia). Per giustificare una tale situazione vi sono tre ipotesi nessuna delle quali può dirsi, per ora, la più probabile: forse i due pittori si alternavano nel lavoro così da riuscire a realizzarne più d’uno contemporaneamente, o forse le iscrizioni che apponevano alle loro opere non tenevano conto di una precisa datazione, o ancora potrebbe trattarsi di un errore compiuto da chi lesse l’iscrizione ingauna.
Un mistero che affascina ancora oggi gli studiosi.

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